LA CROCE


LA CROCE DEL CASTELLO

"Come ricordo della fine del secolo XIX la domenica 16 dicembre 1900 sui ruderi esistenti sulla vetta del Castello fu innalzata una grande Croce di legno, che fu benedetta con una funzione speciale celebrata lassù nel pomeriggio, con canto del vespro, inni di uomini e di giovinette, suono di banda e spari di fucili e di mortai" (Memorie della vita di Pieve di don Girolamo Bettanin).

 

Siamo ormai così abituati a vedere la croce sul Castello (la prima di legno, abbattuta da un fulmine nell'estate del 1928 che sarà sostituita nel 1949 dall'attuale), che questa è diventata ormai un elemento naturale del paesaggio: sembra quasi che la collina, con la sua forma conica, costituisca il suo basamento.

LA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CROCE

Si cominciò a tracciare la mulattiera che dalla casa (la vecchia bastia in cui abitava con la moglie Adelina e i tre figli Giovanni, Giuseppe e Isidoro - a mezzadria nella proprietà di Alessandro Tessari) porta alla vetta del monte: lavoro di pico e baile che durò due mesi e responsabili di questo lavoro furono Giuseppe Marcante e Tiziano Gonzo. Tra la fine del 1948 e l'inizio del 1949 fu discusso e preparato il progetto e fatto il calcolo del materiale occorrente. Il tutto per opera dell'arciprete Don Virgilio Peripoli che aveva esposto pubblicamente questo desiderio dopo averlo sottoposto alla commissione parrocchiale ed aver ottenuto il permesso dal proprietario del terreno (Alessandro Tessari).

 

Finita la strada, cominciò il trasporto della sabbia cavata nel Leogra e portata su due carretti tirati dagli asini di Bepi Dalle Tezze e di Ernesto e Bepi Cortiana fino alla bastia. Da qui, in sacchetti da 20 Kg., a spalla veniva portata sulla cima del monte. Seguì il trasporto di cemento, del ferro e delle tavole per l'impalcatura. Una processione in cui giovani e anziani, spose e nonne collaboravano con entusiasmo. Il trasporto dell'acqua fu affidato alla Bepa Borga e la Catinela Fusa: si riempivano i secchi nella fontana della piazza e in quella "della Sabina" e poi via col bigòlo spalle su per il sentiero fin sulla cima dove, pian piano, i bidoni si riempivano.

Sullo spiazzo del Castello venne preparata la gabbia in ferro dell'armatura, innalzata e piantata nel cemento delle fondamenta, le braccia della croce erano sostenute da travi di legno (tutto il legname fu offerto da Pietro Gianeletti).

La sera del 19 marzo, quando tutto era pronto per la gettata, un forte vento fece inclinare l'impalcatura: dal paese qualcuno si accorse dell'imminente pericolo. Di notte Gino Fedeli, Ennio Miotto, Tarcisio Cencherle, Giovanni e Giuseppe Dal Prà corsero al campanile, presero tre corde, addirittura staccandone una dalla campana e salirono sul monte ad assicurare l'impalcatura.

Al sabato e alla domenica successivi si potè procedere alla gettata.

Sandro Costalunga e Bepi Fusa, i due capomastri, unitamente a Giuseppe Rebellato, Giuseppe Fantini ed Emilio Brazzale entro la sera della domenica riuscirono a terminare il pesante lavoro. Circa tre settimane dopo la gettata, venne tolta l'armatura, si procedette ai lavori di rifinitura e abbellimento e alla costruzione dell'altare. Sul lato rivolto verso Pieve e la pianura furono incastonati frammenti di vetro di vari colori e di specchi, che da lontano, al sorgere del sole, si vedevano brillare. I pezzi di vetro era andato a prenderli Luigi Gallastri nella carrozzeria di fronte al Duomo di Schio, dentro il portico dove un tempo c'era anche il cinema Centrale, e portati a Pieve col caretelo attaccato dietro la sella della bicicletta.

Sul lato verso l'altare venne attaccato il cuore di rame dei padri Passionisti, quelli che avevano tenuto la solenne missione con la benedizione della croce; sotto di questa la scritta "PIEVE NELLA FEDE", suggerita da Gino Fedeli. Per ultimo il parafulmini, che come dispersore aveva una lastra di rame interrata a circa quindi metri dalla croce. Qualche mese dopo questa scomparve; scoperta in seguito presso uno strassaro di Schio, fu facile risalire all'autore del furto.

Il giorno della benedizione, infine, i fratelli Giovanni, Giuseppe e Isidoro Dal Prà adornarono la strada che porta sulla collina con archi fatti con rami di pino e di ciliegio in fiore.

Era il 10 aprile 1949.

Tratto da " I Quaderni della Pieve - IL CASTELLO DI BELVICINO"

estratto dell'art. I RICORDI DI GIOVANNI DAL PRA'