2. "I PREGI DI PIEVE"


Testo originale

[...]

 

III

 

Il castello

 

96. Se infatti altro non trovo da mirare

che muraglie distrutte e gran rovine

le quali servon solo per provare

che molta era la gente in tal confine,

adesso tempo sembra di parlare

dell'opre del castello che divine (41)

sembrano al nostro dir: son così belle

che pareggiar potrebbonsi alle stelle.

 

97. Questi da tramontana è così bello

ch'a bella posta sembra essere alzato,

mancando va qual penna di martello

più dritto alquanto trovasi in un lato

aguzzo quasi a foggia di coltello

nelle di cui estremità atterrato

il muro esiste ancor e come appare (42)

si fe' ogni pietra di lontan portare.

 

98. Per turbolenze grandi d'Alemanni

venia fortificato e provvisioni

mandavansi qua su perchè ai tiranni

che a foggia di scatenati demòni

piombaron d'ogni parte, oh che affanni!

si resistettero e ai novei padroni:

oh che doglia il figlio, il fratel talora

veder volger bandiera e cangiar prora!

 

99. Per tali contingenze aveasi pure

l'ordine espresso di fortificare

quegli ch'era appresso Schio, onde sicure

vieppiù restasser quelle che più care

eran tenute allor: ma le congiure

colla grazia del ciel particolare

diedero loco, e la tranquillitade

fu ridonata alle nostre contrade.

 

100. Stettero sempre in poi di qui lontane

della Notte le figlie, e in Paradiso

per meglio stare ancora ci rimane.

Ringraziato sia il Cielo, continui il riso

sinchè lo squillo di trombe soprane

avrassi a sentir da qualunque viso:

d'eternitade in sen Marte s'aggrada,

s'occupi pur di Lete la sua spada.

 

101. Del mille cinquecento e due atterrata

da'  Torresani fu questa fortezza

per venezian decreto a lor lasciata (43)

quand'ogni altra ancor con egual destrezza

demolir fece, perchè spopolata

non stasse ogni città da chi s'apprezza.

Ristabilito fu così l'assetto

che per usanza tal era imperfetto.

 

102. Così si dice, ma meglio mi pare

che stato lo sarà perchè più mai,

come successe, abbiansi a impossessare

estere truppe che da noi i rosai

abbiano prestamente ad involare,

come lo fecero: son questi i guai,

a qual li miseri nostri antenati

soggiacquero per molti qui celati.

 

103. Eccelso era il castel famoso e bello

con scale, balaustri e con cisterna

con merlature, stalle e molinello

con forno e tutto ciò che ben governa

un sì celebre luogo, ch'il gioiello

era di questi luoghi e qual lucerna

tenuto era da tutti perchè il sito

guernito era per tutto il circuito.

 

104. Torrette, torreselle e pilastrate (44),

portoni, porticelle e camerette

cameroni, granai e solarate,

fenestre, fenestroni e fenestrette

anticamere e sale, oh che beltate!

Bastioni e baluardi e vie elette

alla luce del ciel nascoste e chiare

per poter veduti o nascosti andare.

 

105. Un campo e mezzo n'è quasi il recinto,

ov'eran la gran torre, che la cima

interamente copre e sì distinto

si vede tutto attorno, come in prima

sullo scoglio, bislungo il muro avvinto.

Ma ciò che accresceli vieppiù la stima

le sotterranee vie son lunghe e belle

fra scoglio nascoste anco alle stelle.

 

106. Una fra l'altre è quella che conduce

dalla cima perfino nella chiesa.

Se poi qui compia il camin o riduce

altrove il viaggio, ignota a me s'è resa;

so ben che sin sotto l'altar la luce (45)

mia la vide e a passar per la difesa ch'alla stessa si fe', al settentrionale

nel cantone vedrai il memoriale.

 

107. Qui di sotto passava ignotamente (46),

così il trascrivo; senza timor chiunque

arrivar volea ove presentemente

del castel le vestigia esiston; dunque

si crederà come popolarmente

la tradizion passò a noi per qualunque

ch'altrove questa il cammino volgesse,

ma il saper per dove il ciel nol concesse.

 

108. Nel mezzo della via vedrai un loco

scolpio nel vivo sasso con destrezza

ove insensibilmente e appoco appoco

l'acqua sorge e s'innalza con vaghezza

senza lo strepito e rumor suo roco;

dalla parte di Borea si scavezza

e tsto se ne va ad incontrare

con un buco la via che non ci appare.

 

109. Nel centro del suddetto luogo stanne

le cristalline acque ben racchiuse;

mai crescon nè diminuindo vanne,

son tanto ben disposte che le Muse

piantato ancora avrebber qui le scranne

come su d'Elicona senza scuse

se non fossero state tanto ignote

agli occhi insin del ciel fra queste lote.

 

110. Se vuoi veder dei sotterranei siti

all'Austro potrai andare, là polito

voragini vedrai, senza t'additi:

così li chiamo, se del ferro ardito

segnal non so trovar onde le citi,

gran muro stalli appresso già perito

e un poco più di sotto un'altra mura

che a questi fa recinto coll'altura.

 

111. Su di questa nel mezzo stavvi eretta

picciola abitazion e qui si crede

esservi stata la forte torretta

di cui li pubblici registri fede (47)

ci fanno e convien che qui s'ammetta

poichè la situazion qui lo richiede,

la vogliono ancor qui le grosse mura

per la lor varietà, per la struttura.

 

112. Al certo crederai che questo muro

colla grossezza sua, colla sua altezza

si distendesse sin ove figuro

sopra di Pieve, con simil destrezza

altri disposto in sito assai sicuro,

onde deducesi ch'altra fortezza

vi fosse qui, così l'altera torre

quanto sicura era dir non occorre.

 

113. Di vedere ormai tempo sarebbe

chi fu il suo fondator, quai li padroni,

ma perchè il primo difficil sarebbe,

agli altri non occor che m'abbandoni.

Basta ti dica ch'ancor lo terrebbe

del Cavalli i nipoti, se finzioni

usate non avesse a' Vneziani

per seguir gli Scaligeri inumani.

 

114. Altri ne trovo in prima e molti ancora

scorgo un Vittor fra questi ma mi basta (48)

saper che questo fu dato talora

in feudo a'Vescovi; ma perchè guasta

non riesca la descrizion, in altra ora

me la riservo; il tempo or mi contrasta:

contentati di questo e lascia pure

che rammenti di questo altre fatture.

 

[...]

Traduzione

[...]

 

III

 

Il castello

 

96. D'ora in poi non trovo altro da vedere che muraglie diroccate e grandi ruderi che servono solo a provare che era molta la gente un tempo attiva in questo luogo. Adesso invece mi sembra giunto il momento di parlare delle opere di difesa del castello, così ben strutturate da sembrarci quasi opera sovrumana, degne di essere paragonate alle stelle del firmamento (84).

 

97. Il monte, visto da tramontana (85), è così bello che sembra fatto ad arte; questo va poi digradando come la penna del martello; un fianco ripido si erge aguzzo come la lama di un coltello; alle sue estremità esistono ancora residui del muro per lo più spianato (86) e formato da pietre visibilmente portatevi da lontano.

 

 

98. Il castello di Belvicino venne fortificato a causa dei gravi turbamenti provocati dai Tedeschi e si raccolsero quassù le provviste per resistere ai tiranni che piombavano qui da ogni parte come dèmoni scatenati nonché per opporsi ai nuovi padroni invasori. Quali angosce! e che grande pena, veder mutar bandiera e tradire il proprio schieramento perfino i figli e talora i fratelli!

 

99. Per le stesse evenienze belliche c'era pure l'ordine espresso di fortificare anche il castello di Schio, in modo che fossero messe al sicuro quelle cose e persone che allora si consideravano più care; per grazia particolare del cielo, tuttavia, le congiure furono sventate ed alle nostre contrade fu ridonata la tranquillità (87).

 

 

100. Da allora in poi le figlie della Notte (88) stettero sempre lontane dai nostri paesi e per stare ancora meglio di adesso non ci rimane che il Paradiso. Sia ringraziato il Cielo che ci assicura una serena esistenza fino a che le trombe del giudizio universale saranno inesorabilmente udite da tutti gli uomini. Marte trova appagamento nel seno di un eterno oblio, la sua spada resti inerte nel fiume Lete (89).

 

101. Questa fortezza fu demolita nel 1502 dai Turritani. Essa era stata loro ceduta per decreto della Signoria Veneta (90) all'epoca in cui fece demolire ogni altra fortificazione, con scaltri analoghi provvedimenti, per indurre le persone a rifugiarsi nelle città, cosicché non restassero private di persone valide. In tal modo fu ristabilito l'ordine che era turbato dal fatto che la popolazione rurale si rifugiava di preferenza nei propri luoghi fortificati.

102. Questa è l'opinione corrente ma ritengo piuttosto che ciò sia avvenuto al fine di evitare che non avessero mai più ad impossessarsi di quelle fortificazioni truppe straniere nemiche, pronte a impedire le nostre pratiche religiose (91). E' già accaduto un tempo: erano queste le sventure, e molti ancora sconosciute, cui soggiacquero i miseri nostri antenati.

 

103. Il nostro castello era situato in luogo eccelso, era famoso e di aspetto imponente, con scale, balaustrate, cisterna e merlature, stalle e un piccolo mulino, con forno e tutto ciò che giova a governare una fortezza così celebre che era il gioiello di questi luoghi ed era considerata da tutti come un punto di riferimento sicuro e costituiva un forte presidio per tutto il circondario.

 

104. Il castello di Belvicino era dotato di torrette, torricelle, serie di pilastri (92), portoni, porticine e camerette. C'erano inoltre cameroni, granai, soffitti e solai, finestre, finestroni e feritoie, anticamere e sale che erano una bellezza! Ed ancora: bastioni e baluardi ed infine passaggi accortamente tracciati, ora nascosti alla luce del sole ora all'aperto, per potersi muovere veduti o nascosti.

 

105. Il perimetro del fortilizio, in cui si trovava la grande torre, circoscrive un'area di quasi un campo e mezzo che copre interamente la sommità del monte e si notano ancor oggi distintamente, com'era una volta, i resti del muro del castello di forma allungata, abbracciato al monte. Ma ciò che accresce valore a tutto il complesso fortificato sono le vie sotterranee lunghe e d efficienti, intagliate nella roccia e nascoste pure alle stelle.

106. Una di queste vie segrete è quella che conduce dalla cima del monte fino alla chiesa: se poi questa via si concluda qui o prosegua oltre, non mi è dato sapere. So invece, per averla vista (93) io stesso, che essa giunge fin sotto l'altare (94) della SS.ma Trinità e si può vedere la lapide con iscrizione che ricorda questo passaggio segreto, costruito per rifugiarsi sul castello, murata nell'angolo settentrionale dell'atrio.

 

107. La scritta dice che attraverso questo cunicolo, passava segretamente (95) senza timore di essere visto chiunque volesse arrivare là dove al presente esistono solo i ruderi del castello; da questo fatto si può agevolmente credere come la tradizione popolare ci abbia tramandato di bocca in bocca che questa via segreta proseguisse oltre, ma in quale direzione non ci è stato svelato.

108. Verso la metà della salita al monte Castello si trova un anfratto (96), ricavato artificialmente nella roccia viva con grande abilità, ove, insensibilmente, a poco a poco, si alza di livello l'acqua sorgiva e si raccoglie silenziosamente senza il consueto mormorio. Tale opera, deviando bruscamente dalla originaria direzione settentrionale (97), tramite un pertugio va ad incontrarsi con un cunicolo che non ci è dato conoscere.

109. Bisogna notare che queste acque limpide e cristalline si raccolgono al centro del suddetto anfratto, racchiuse in una cavità nella quale mantengono sempre lo stesso livello senza crescere né diminuire. Sono così attraenti che le Muse stesse si sarebbero certamente insediate in questo luogo, al pari che sul monte Elicona (98), se la bellezza loro non fosse rimasta tanto nascosta, nei paraggi fangosi ed oscuri, agli occhi stessi dei celesti.

110. Se poi desideri vedere cavità sotterranee, potrai dirigerti verso meridione, da dove soffia il vento Austro; in questa zona si trovano delle voragini assai evidenti che non hanno bisogno di essere indicate: non trovo altro nome per definirle (99) dato che non si nota alcuna traccia di scavo eseguito con strumenti di ferro (100): lì vicino era stato eretto un muro ora crollato, poco più sotto poi ne esisteva un altro ancora che racchiudeva robustamente il primo.

111. Sul muro esterno, al centro, esiste una modesta abitazione e si crede che qui si innalzasse la torretta fortificata della quale fanno fede i pubblici documenti (101) ed è ragionevole ammetterlo perché la posizione qui la richiede; ne postulano la presenza anche lo spessore delle mura, la loro articolazione e la loro struttura.

 

 

112. Sono convinto che questo muro con la sua grossezza e la sua altezza si estendesse, come suppongo, fin sopra Pieve, dove ce n'era un altro eretto con pari abilità e, analogamente al primo, doveva essere costruito in un sito ben protetto. Da ciò si deduce che qui si trovasse una fortificazione di supporto: perciò non occorre spiegare quanto sicuro fosse l'imponente torrione principale (102).

 

113. Sarebbe ormai tempo di vedere chi sia stato il fondatore del castello e quali ne fossero i padroni ma, poiché risulta difficile dar risposta al primo quesito, non serve neppure cercar risposta agli altri. E' sufficiente dirti che lo possederebbero ancora oggi i discendenti di Giorgio Cavalli (103) se egli non si fosse dimostrato infido verso i Veneziani, mettendosi dalla parte degli Scaligeri, travolti dalla loro stessa inumana crudeltà.

114. Si conoscono anche altri castellani precedenti e molti anche dopo; fra questi va rilevato un Vittore Cavazzola, ma qui basta (104) sottolineare che il nostro castello fu dato in feudo ai vescovi di Vicenza. Tuttavia, affinché il racconto non appaia incompleto, riservo la rievocazione di quelle vicende ad altra occasione: per ora mi manca il tempo; accontentati di questo e consentimi di rievocare altre attività che nel castello si svolsero.

[...]


Tratto da

"I pregi di Pieve" di don Giovanni Battista Tessari di Pieve di Schio, arciprete delle Torreselle. Poemetto, a cura del GRUPPO PER IL RESTAURO DELL'ANTICA PIEVE e dell'A.B.D.S. (Per Schio, 6), Pievebelvicino 2010



Note

[...]

41 "Quattro sono questi, lunghi piedi 25 e mezzo l'uno, senza pilastro di mezzo il quale è di un piede e mezzo circa" (note Maraschin 23).

42 L'iperbole è evidente.

43 "Sulla facciata del[l']altar maggiore" (note Maraschin 24)

44 "Su" nella copia del Dalla Ca'; "sii" in quella del Maraschin.

45 "Pene" nella copia del Dalla Ca'; Maraschin legge invece "pena" in contrasto con le esigenze dello schema metrico.

46 La passione di Cristo ebbe lo scopo di acquistarci i meriti necessari per la nostra salvezza dopo la colpa commessa dai nostri progenitori.

47 Reminiscenza dantesca (Purg., 33, 67-68). La particolare durezza delle acque di questo affluente dell'Arno che ricopre di incrostazioni calcaree gli oggetti in esso

     immersi, richiama la durezza della mente umana, ingombra di pregiudizi nel comprendere i disegni divini. L'opera devastante è accentuata dalle ulteriori

     rovine causate dalle esondazioni del fiume.

48 E' ben nota la rigorosa osservanza del primo patriarca della Bibbia alla volontà divina: si ricordi, ad esempio, la prova cui venne sottoposto da Dio con la

     richiesta del sacrificio del figlio Isacco (Genesi, 22).

[...]

84 "Non dubium est positu melius defensa manune arx erat in summo nubibus aequa iugo: OVIDIO, Pont. 4, ep. 7" (note Maraschin 41). Il Maraschin adatta in

     senso accomodatizio al castello di Pievebelvicino quanto nel testo ovidiano suona così: "Nam, dubium positu melius defensa manune, / urbs erat in summo

     nubibus aequa iugo": Ed infatti, chissaà se meglio difesa della sua posizione o dalla schiera armata, la città si trovava sulla sommità della montagna, pari alle

     nuvole. Si tratta di un passo tratto dalle Epistulae ex Ponto, IV, 7, 23-24.

85 Cioè da settentrione.

86 "La grossezza del muro è di piedi 3 circa" (note Maraschin 42).

87 Il castello fu al centro di numerosi fatti d'arme tra i quali spiccano quelli del 1397 - 1406 all'epoca della signoria di Giorgio Cavalli e quelli del 1509 quando

     scese dalla Vallarsa in Val Leogra il capitano Leonardo Trissino, sostenitore dell'imperatore Massimiliano: cfr. GRUPPO PER IL RESTAURO DELL'ANTICA PIEVE, Il

     castello di Belvicino. Appunti storici e ricerche nel 50° anniversario dell'erezione della Croce. 1949 - 1999, Pievebelvicino 1999, pp. 25-38.

88 Nella mitologia classica la Notte, figlia del Cielo e della Terra, era dea delle tenebre, origine di ogni cosa triste, terribile ed irrevocabile. Secondo alcuni autori

     antichi, tra i quali Eschilo, fu la madre delle Furie.

89 Marte è il ben noto dio della guerra; Lete indica, nella mitologia classica, il fiume dell'oltretomba in cui chi si immerge dimentica la vita passata. Forse è mera

     coincidenza ma l'espressione d'"eternitade al seno" ricorre anche in Tommaso CAMPANELLA, Le poesie, Torino 1998, p. 317 (madrigale 8, 13).

90 "Questo vien detto ma su istabile fondamento: del 1517 non esisteva più, come dal seguente documento..." (note Maraschin, 43). Il testo viene da noi riportato

     nella trascrizione del Maraschin e in quella dall'originale nel Supplemento n. 2 a p. 134. L'argomento del castello di Pieve (la sentinella della Val Leogra) viene

     trattato con l'ausilio di nuove fonti d'archivio in una approfondita ricerca di Paolo SNICHELOTTO su I vicariati di Schio e Malo nel vortice della guerra di Cambrai

     (1508-1517), in corso di stampa.

91 Abbiamo interpretato "rosaio" come pratica devozionale ma potrebbe significare "quanto di florido e di gioioso allieta le nostre contrade". "Involare", termine

     di uso spiccatamente letterario, significa "sottrarre, portar via".

92 "Documenti estratti da' pubblici registri della spettabile Comunità di Schio spettanti all'antichissimo castello di Belvisin ..." (note Maraschin, 44). Il testo

     riportato nella trascrizione del Maraschin e in quella originale nel Supplemento n. 3 a p. 136.

93 "Lo" nella trascrizione del Maraschin.

94 "L'altare della SS.ma Trinità e per sotto il cantone del nuovo atrio a settentrione" (note Maraschin 45).

95 "Hic vetus extat iter Castri ad culmina ducens, atque alias etiam pergere fertur idem" (note Maraschin 46). E' questo il testo dell'iscrizione (memoriale) non

     pervenutaci che avrebbe confermato sia quanto riferito dal Tessari sia la tradizione popolare: Qui si trova l'antico percorso che porta alla sommità del Castello,

     e si dice che volgesse anche in altra direzione. Vedi anche le ottave 82-84.

96 Non va confuso con il cosiddetto Buso della regina che si trova a quota inferiore e che il Tessari non cita.

97 Bòrea, citato nell'originale, è personificazione del vento del nord.

98 Catena di monti della Beozia particolarmente celebre nella cultura classica per il tempio ad Apollo ed il bosco sacro alle Muse. Queste dee, figlie di Zeus e di

     Mnemosine, secondo tradizione, erano nove, e portavano il nome di Calliope, Clio, Melpomene, Thalia, Euterpe, Erato, Urania, Polimnia, Tersicore.

     Presiedevano alle diverse forme di poesia, scienza ed arti.

99 Il Dalla Ca' propone, nel testo poetico, la non condivisibile lezione "le viti" in luogo di "le citi".

100 La voragine menzionata dal Tessari presso la sommità del Castello presenta in realtà le caratteristiche di uno scavo minerario e a questo scopo era stata

      recintata da un muro di protezione.

101 "Vedi 44" (note Maraschin 47). Si veda il Supplemento n. 3 a p. 136.

102 In queste ottave sul castello il Tessari usa frequentemente il termine "torre" per significare il mastio, cioè la parte preminente del castello stesso.

103 Giorgio de' Cavalli (XIV-XV sec.) fu investito dai Visconti dei territori di Schio, Santorso e Torrebelvicino. L'esperimento, assai arduo, durò neppure nove anni

      durante i quali Schio godette di una fiorente attività economica, ebbe un proprio podestà incaricato di amministrare la giustizia e fu a capo di una contea di

      tipo feudale. L'autonomia da Vicenza, difesa con ogni mezzo dal Cavalli, consentì a Schio di reggersi libera dalla Repubblica di Venezia sino al 1406, dunque

      due anni più delle altre località del Vicentino, Santorso e Torrebelvicino escluse. Sulla figura di Giorgio Cavalli vedi la voce a lui dedicata da Luisa MIGLIO in

      Dizionario biografico degli italiani, 22, Roma 1979, pp. 736-739.

104 "Vedi Brabarano, t[omo] I, c[apitolo] 102, m[iracolo] 2 e n[ota] 43" (note Maraschin 48). Il testo, sconosciuto ai più, viene riportato nel Supplemento n. 4 a

      p. 141.