CENNI STORICI


LE ORIGINI

Il castello fu costruito nel X secolo, nel periodo delle scorrerie degli Ungari (All. A): le orde di questi barbari, provenienti dalle steppe dell’Asia, nell’899 si abbatterono sulla pianura padana, saccheggiando ferocemente villaggi, monasteri e città. L’imperatore Berengario (All. B), non potendo impedire le loro sanguinose devastazioni, diede in feudo al vescovo di Vicenza (All. Ctutti i territori che si estendono sulla destra del Leogra (All. D(le terre a sinistra restarono ai feudatari laici); per difenderle il vescovo fece costruire tutta una serie di fortificazioni e castelli sulle alture prospicenti la pianura vicentina: a Valli, Pieve, Magrè, Malo, Priabona, fino a Vicenza ed oltre.

VESCOVI E CONTI IN LOTTA PER IL POSSESSO DEL CASTELLO

Passate le invasioni degli Ungari il castello con le terre a destra del Leogra rimase feudo dei vescovi di Vicenza. Nel secolo XII scoppiarono feroci lotte tra i vescovi e conti per il possesso di queste terre.

In quel periodo erano signori di Schio e Santorso i conti Maltraversi di Vicenza (All. E), i quali avevano ricevuto in feudo dai vescovi di Vicenza anche i territori di Torre, Pieve, Magrè, Malo, Isola, Costabissara.

Nel 1184 in piazza Duomo a Vicenza il vescovo Giovanni Cacciafronte (All. F) venne pugnalato a morte da un sicario di Malo, il cui mandante era Uguccione Maltraversi (All. G); il nuovo vescovo Pistore (All. H) scomunicò il conte e lo spogliò del feudo ecclesiastico di Torre, Pieve, Magrè, ecc. che fu affidato ad un’altra nobile famiglia vicentina, i Da Vivaro (All. I). Il Maltraversi non si rassegnò alla perdita di queste terre e nel 1200 con un improvviso assalto notturno riuscì a strappare ai vivaresi il castello di Pieve.

Il vescovo Pistore in persona accorse da Vicenza per aiutare i Da Vivaro a riconquistare il castello, ma restò ucciso durante l’assedio; lo storico Maurisio (All. L) descrive in questo modo l’episodio: “… Sul far del giorno poi, mentre il castello era assediato dai Vivaresi, il vescovo, che se ne stava disarmato a cavallo nell’acqua che scorre presso il castello, colpito da una freccia lanciata dai difensori posti sugli spalti, morì” (10 luglio 1200). I Da Vivaro successivamente tornarono in possesso del castello e tennero la signoria sulle terre a destra del Leogra per quasi 150 anni ancora.

SCALIGERI E VISCONTI

Nel 1311 Cangrande della Scala (All. M), signore di Verona, estese il suo dominio su tutto il vicentino: caddero dunque sotto il suo potere anche la signoria di Schio e Santorso (la famiglia dei conti Maltraversi si era estinta vent’anni prima circa) e quella sulle terre a destra del Leogra (Torre, Pieve, Magrè, Malo, ecc.) che i vescovi avevano dato in feudo ai Da Vivaro. Nel 1340 circa gli Scaligeri decisero di unificare i territori delle due signorie per formare un unico vicariato, con a capo il veronese Agnolo de Nogarola (All. N); i Da Vivaro non vollero perdere il loro feudo e si dettero da fare per cacciare gli Scaligeri da Vicenza; il tentativo però fallì: Vivaro Dei Vivari venne fatto uccidere a Rovereto da Mastino della Scala, un suo fratellastro si rifugiò nel castello di Pieve che, dopo un lungo assedio, fu espugnato dal signore di Verona.

Il dominio degli Scaligeri sulle nostre terre durò fino a quando la loro potenza venne abbattuta da Gian Galeazzo Visconti (All. O), signore di Milano (1387). Alla morte di questi (1402), tutti i suoi nemici insorsero per recuperare i domini di cui erano stati privati (Scaligeri di Verona e Carraresi di Padova); Vicenza, terrorizzata di cadere in mano dei padovani, nell’aprile del 1404 si sottomise spontaneamente a Venezia.

SOTTO LA REPUBBLICA DI SAN MARCO (1406 - 1797)

La dominazione veneziana assicurò alle nostre terre un lungo periodo di tranquillità e pace; non per questo il castello di Pieve perse la sua importanza: doveva infatti vigilare sulla strada che, attraverso la Val Leogra, mette in comunicazione col Trentino, a quei tempi potente feudo imperiale.

Inoltre il castello consentiva ai nuovi padroni di esercitare un attento controllo su un territorio sempre più ricco di attività e iniziative economiche: sotto la Serenissima (All. P) lo sfruttamento delle miniere venne incrementato, la roggia (All. Qassicurava forza motrice a magli, officine e mulini.

La custodia del castello, sotto la Serenissima Repubblica, era affidata a dei castellani.

Il nome di uno di questi si poteva leggere fino a pochi anni fa sopra l’affresco dipinto a sinistra del portale dell’antica pieve (All. R):

Hoc opus fecit fieri vir prudens ser Johannes de Sebenico antea custos arcis Belvicini Anno MCCCCXXXXII

(“Questo dipinto fu fatto eseguire da persona autorevole e stimata, ser Giovanni da Sebenico, già custode della rocca di Belvicino, nell’anno 1492”).

Altri castellani del castello di Belvicino, di cui abbiamo memoria, sono: Franciscus quondam Lorenzo Pullicelli da Galera (1403), Liberalis Joannis de Tarvisii (1434), Jacobus de Venetia (1441), Victor Cavazzolus (1509), dominus Bonin de Ceris 1510).

GUERRA DELLA LEGA DI CAMBRAI E SMANTELLAMENTO DEL CASTELLO

Nel 1509 i re di Francia e Spagna, l’imperatore Massimiliano, il papa Giulio II ed altri principi italiani si allearono contro Venezia (Lega di Cambrai) (All. S): negli anni che seguirono furono pieni di incertezze e di disordini anche per la nostra terra. La situazione fu subito critica per la Repubblica, che si trovava a combattere praticamente contro tutta l’Europa: dopo le prime sconfitte, Venezia sciolse dal giuramento di fedeltà le città a lei sottomesse, inoltre ai rettori di Verona e di Vicenza fu scritto di non opporre resistenza al nemico.

Il primo giugno 1509 arrivava a Rovereto Leonardo Trissino (All. T), un avventuriero vicentino fuggito in Germania 14 anni prima dopo aver compiuto un omicidio: sua intenzione era quella di scendere attraverso la Vallarsa e la Val Leogra nella pianura e prendere possesso di Vicenza in nome dell’imperatore. Alla notizia dell’arrivo degli imperiali, Schio diede libero sfogo ai suoi rancori contro Venezia: lo stendardo di s. Marco venne calpestato e venti cittadini andarono incontro al Trissino per dargli il benvenuto. Non solo: per eliminare ogni ostacolo che potesse intralciare l’avanzata delle truppe tedesche, gli scledensi si impadronirono con l’inganno del castello di Pieve.

Lo stesso castellano Vettore Cavazzola fece in seguito una dettagliata relazione dei fatti, in cui metteva in evidenza come fosse stato costretto ad arrendersi, dopo quattro giorni di resistenza, in seguito all’arrivo a Schio di Leonardo Trissino, essendo rimasto solo e senza possibilità di ricevere aiuti, col figlio Sebastiano in mano degli scledensi che minacciavano di impiccarlo.

Il 4 giugno 1509 dunque Leonardo Trissino giunse a Schio, prese possesso del castello di Pieve e, il giorno dopo, partì per Vicenza, per concludere infine il suo viaggio alle porte di Padova (dove fu preso prigioniero dai veneziani).

I veneziani riconquistarono il castello alla fine di agosto del 1510, quando gli imperiali abbandonarono il vicentino.

Furono questi gli anni che videro la fine dell’antico castello, non distrutto dai nemici, ma smantellato nel 1514 dal generale veneziano Bartolomeo d’Alviano (All. U), per evitare che la fortificazione potesse essere usata contro di loro.

 

Il 30 gennaio 1517 Venezia vendette all’asta tutto ciò che restava del glorioso castello. L’asta fu vinta dal comune di Torrebelvicino che, tramite il suo rappresentante Francesco Pilati, presentò l’offerta maggiore: 36 ducati.


CENNO SULLA STORIA DEL CASTELLO VISTA ATTRAVERSO LE SUE STRUTTURE

Unificando adeguatamente gli elementi desumibili dalla documentazione or ora riportata, risultano con sufficiente evidenza le varie fasi storiche attraverso cui si svilupparono le strutture fortificate del castello ed in particolare della rocca.

Queste fasi sono sostanzialmente tre:

a) quella delle origini: secoli IX-X

b) quella delle signorie dei Maltraversi e dei da Vivaro: secoli XI-XIII;

c) quella delle signorie scaligera e viscontea: secoli XIV-XV incipiente.

 

a) Fase delle origini

La parte centrale, caratterizzata dal torrione o mastio, mantiene l'aspetto caratteristico delle rocchette e constava al centro di una turris columbaria circondata da un'ala di muro protettiva. Il suo impianto originario dovrebbe verosimilmente risalire ad epoca tardo romana e gotico-longobarda. La rocchetta fu riattivata e rafforzata sotto l'egida dei vescovi-conti di Vicenza all'epoca delle incursioni ungare (secoli IX-X).

 

b) Seconda fase

Alla fase successiva, in cui i vescovi di Vicenza delegarono la tutela dei centri fortificati di loro spettanza a feudatari laici (più o meno fedeli come i conti Maltraversi prima ed i signori da Vivaro poi), va attribuito l'ampliamento che si sviluppa verso Est-Nord Est con torre e cinta muraria supplementari.

Ciò fu realizzato compatibilmente con lo spazio disponibile sulla cresta sommitale del colle verso cui si inerpicava forse il passaggio segreto che dalla chiesa matrice saliva al castello (secoli XI-XIII).

 

c) Terza fase

Alla dominazione scaligera (1311-1387) infine, caratterizzata da un grande impulso costruttivo specie nel campo delle fortificazioni militari, va attribuito l'ampliamento ad Ovest-Sud Ovest della rocca, ottenuto sfruttando il residuo spazio rimasto sulla cima del monte.

Questo ampliamento fu integrato con un notevole supporto a terrapieno mantenuto con grosse muraglie. Entro questo recinto trovarono verosimilmente posto i servizi indispensabili all'autonomia del fortilizio quali le stalle, il mulino, il forno e qualche alloggiamento per i difensori.

Va inoltre notato che sempre a Sud Ovest, alquanto più in basso, nel tratto in cui il pendio del monte è più agevole, fu pure costruita una bastìa che, con le mura che da essa si dipartivano, consentiva di controllare l'accesso alla rocca.

Tratto da

"I pregi di Pieve" di don Giovanni Battista Tessari di Pieve di Schio, arciprete delle Torreselle. Poemetto, a cura del GRUPPO PER IL RESTAURO DELL'ANTICA PIEVE e dell'A.B.D.S. (Per Schio, 6), Pievebelvicino 2010